La fanciulla che non voleva ingoiare il rospo
C'era una volta una fanciulla di nome Cor,
che viveva nel paese di Pappòr. Essendo molto povera, non aveva
neppure uno specchio per controllare se fosse brutta, bella
oppure passabile. Prima che Cor nascesse i suoi genitori erano
stati allevatori possidenti. Possedevano infatti una modernissima
stalla con settecento mucche, che un giorno furono colpite dal
virus dalla caccosi bovina. Facevano diarrea a tonnellate e non
davano più latte, ma nonostante si accorgessero di essere
improduttive non volevano saperne di morire. Così ai genitori di
Cor, tutto il giorno impegnati a liberarsi di
quellimponente quantità di letame, non restava il tempo
per occuparsi della figlia. Spesso Cor domandava loro: "Ma
secondo voi sono brutta, bella oppure passabile?". E i
genitori rispondevano: "Ma non vedi che stiamo lavorando?
Zitta e spala!". Inoltre, nel paese di Pappòr soffiava
sempre un vento fortissimo e dunque le acque del laghetto presso
l'abitazione della fanciulla, nelle quali avrebbe potuto
specchiarsi per vedere i propri lineamenti, erano sempre
increspate. Vicino alla casa di Cor sorgeva un castello, un tempo
pieno di bellissimi principi che una maga cattiva aveva tramutato
in rospi. Le amiche di Cor avevano letto su libri di fiabe molto
costosi che se avessero baciato i rospi questi sarebbero
ridiventati principi. Così, una alla volta, bussarono al portone
del castello e quando il rospo di turno usciva loro lo baciavano,
trasformndolo in principe. In pochi anni i rospi finirono e le
amiche di Cor vissero tutte felici e contente. Dentro il castello
era rimasto l'ultimo rospo, e nel paese di Pappòr l'ultima
fanciulla: la nostra Cor. In un bel giorno di primavera anche Cor
bussò al portone del castello. Venne ad aprire un maggiordomo
con lunghi baffi grigi torti all'insù che affabilmente domandò:
"Ma lei, signorina, che cazzo vuole?". Cor, sorpresa
dai modi gentili del maggiordomo, non fece caso alla parola
volgare che aveva usato e rispose: "Non è che per caso vi
è rimasto un rospo per me?". Il maggiordomo allora le
disse: "Veramente un rospo ci sarebbe, ma è refrattario ai
baci, e dopo tutte le fanciulle che sono venute qui a baciarlo
per cercare di farne un principe, non ne può più di bocche né
di donne. Inoltre", aggiunse facendo una smorfia preoccupata
"pian piano vado convincendomi che questo qua è un rospo
vero. Però", continuò teneramente "se vuole provare a
baciarlo ne ha licenza, io sono qui apposta". "Grazie,
grazie di cuore", ringraziò Cor graziosamente. Ed entrò
nel castello. Il maggiordomo la pregò di seguirlo. S'incamminò
per un corridoio lungo cento metri, poi salì per uno scalone di
mille gradini, alla cui sommità si trovava una porta di rovere
con grandi battenti d'ottone. Il maggiordomo picchiò due colpi e
dall'interno della stanza si sentì: "Crà". Cor e il
maggiordomo entrarono. Grande visione: su un trono di noce
sorrentino sedeva il rospo. Era brutto come se stesso, una pelle
raccapricciante fitta di tubercoli gementi un appiccicoso liquame
verdastro, occhi sporgenti, una bocca larga senza nemmeno un
dente e quattro zampe, di cui quelle anteriori a forma di zampe
di bulldog e quelle posteriori a forma di zampe di rana. Era uno
schifo a vedersi e un orrore al pensiero di doverlo perfino
baciare. Cor, però, abituata a vivere nel letame delle vacche
dei suoi non si scoraggiò e timidamente chiese al maggiordomo:
"Lo bacio subito?". Il maggiordomo, che doveva essere
stato importato dall'Inghilterra, rispose con tono ironico ma
educato: "No, signorina, vada prima a lavarsi i
denti!". "Ma non ho con me lo spazzolino!", fece
Cor preoccupata, palpando invano le tasche del grembiule.
"Via, scherzavo", la tranquillizzò il maggiordomo.
"Prego, faccia pure. Baci il rospo: tanto lo so che non
funzionerà. Ne ho viste di fanciulle entrare qua dentro!".
E scosse il capo. Cor si avvicinò al trono emozionatissima.
S'illudeva, come le altre che erano già passate di lì, che il
suo bacio, solo perché era il suo, avrebbe funzionato. Il rospo,
quando vide Cor chinarsi verso di lui, si coprì gli occhi con le
zampe anteriori. Gli vennero in mente tutte quelle bocche che lo
avevano baciato e quasi consumati i tubercoli, e inorridì. Ma,
almeno, questa non vava il rossetto. Cor lo baciò sulla fronte
piatta, tra gli occhi molto distanti e tristi, ma non accadde
nulla. Vedendola delusa, il maggiordomo disse: "Signorina,
non si scoraggi, tenti ancora. Però, se vuole accettare il mio
consiglio, deve osare qualcosa di più che un semplice bacio.
Provi magari con la lingua". Il maggiordomo elargì quel
suggerimento senza entusiasmo, perché sapeva che non avrebbe
funzionato. Sotto l'abito ironico del maggiordomo si nascondeva
un temperamento sadico, che lo fece ridacchiare di gusto sotto i
baffi. Cor appoggiò di nuovo le labbra sulla pelle del rospo e
leccò un pochino. Il rospo rabbrividì e si ritrasse. Anche Cor
rabbrividì e si ritrasse, e fece una smorfia, perché il liquido
che usciva dai tubercoli era amaro come fiele (a proposito, che
cos'è il fiele?). Il maggiordomo, che non aveva mai provato,
chiese curioso: "Com'era?". E non poté trattenere una
risata. Cor non rispose, abbassò gli occhi e pianse. Poi,
accortasi che il maggiordomo continuava a ridere, lo rimproverò:
"Non è giusto però che lei si comporti così". Il
maggiordomo, che di metamorfosi da rospo in principe se ne
intendeva parecchio, ribatté subito: "Se non si è
trasformato fino ad oggi, con tutte le top model venute
dallIndocina a baciarlo, secondo me non si trasforma più.
E mi creda, io non ne posso più di accudire principi. E poi a
questo rospo mi sono affezionato: non ha grandi pretese, devo
solo procurargli un po' di mosche e tenere lontani i corvi che
vorrebbero mangiarlo". Assunse un'aria nostalgica.
"Quando in questo castello abitavano principi in carne ed
ossa, prima che venisse la maga cattiva, qua era un casino:
pranzi nuziali, cene, balli, madrigali, incoronazioni,
deposizioni, regine-madri, delfini, infante, compleanni, una
baraonda che neppure se l'immagina. Io sono vecchio e proprio non
mi dispiace di vivere qui con il mio rospo". "E non
pensa alla pensione?", le fece Cor. Il maggiordomo rispose:
"Appunto! Di tutti i rospi che sono diventati principi,
nessuno si è mai preoccupato di me. Mai nessuno che abbia
pensato di portami a vivere con sé e la sua principessa. Mi
sarebbe piaciuto spiarli confricare nel baldacchino, perché di
questo sui libri di fiabe non si parla mai. Proprio cattivi sono
stati". E si mise a piangere lui, questa volta. Cor ne fu
molto dispiaciuta, e lo rincuorò dandogli una pacca sulla
spalla. Commosso dal gesto affettuoso di Cor, il maggiordomo
disse: "Senta, signorina, lei mi piace, perché non è come
tutte le altre, è l'unica che ha pensato un pochino anche a me.
Perciò le darò il consiglio giusto. Non lo baci più il rospo,
lo ingoi, così non se ne parla più". Ma la fanciulla non
voleva ingoiare il rospo. "Mi fa schifo!", si lamentò.
"Se è riuscita a baciarlo con la lingua non sarà poi così
difficile ingoiarlo", la incitò il maggiordomo. Allora Cor,
quasi convinta, prese il rospo con due dita mentre le altre tre
scappavano via e se lo mise in bocca. L'animale gracidò furioso:
"Cra, cra, cra!". A Cor faceva proprio schifo tenere
quel boccone amaro in bocca, così sputò il rospo. "E se ci
mettessimo sopra un po' di zucchero?", propose il
maggiordomo. "Proviamo!", acconsentì Cor. Il
maggiordomo andò a prendere una zuccheriera dalla dispensa e
versò due cucchiaiate abbondanti di zucchero sul rospo. Era
zucchero di canna, perché il maggiordomo era uno che si teneva
aggiornato in fatto di diete. Con sopra lo zucchero di canna, il
rospo aveva quasi un bell'aspetto. Si fa per dire. Era sempre
brutto, ma almeno era ben guarnito, con i granelli dello zucchero
di canna che sembravano polvere doro su uno smeraldo
grezzo. Allora Cor lo prese di nuovo in bocca, si tappò il naso
e riuscì a ingoiarlo. "Finalmente", esclamò il
maggiordomo, mentre si trasformava in un bellissimo principe. Gli
sparirono i baffi, gli vennero gli stivali e un giustacuore (a
proposito, che cos'è un giustacuore?), e un bel pugnale col
manico istoriato gli apparve alla cintura. E spiegò come era
avvenuto l'incantesimo. "La maga cattiva, che leggeva
riviste trash, aveva trasformato l'ultimo principe in
maggiordomo e il suo maggiordomo in rospo, decidendo che
l'incantesimo si sarebbe rotto soltanto quando una fanciulla
povera che puzzava di merda avesse ingoiato il rospo, cioè il
maggiordomo". "Allora il rospo che ho mangiato era un
maggiordomo? Non mi dica", domandò Cor, mentre le veniva la
nausea. "Esatto, proprio così", confermò il
maggiordomo diventato principe. "Ma che schifo!", disse
Cor. E le vennero dei fortissimi conati di vomito. "No, no,
guai!", disse il principe. "Se lo vomita, io ritornerò
maggiordomo e non potremo più sposarci. Ha mai visto la
fanciulla di una fiaba che si sposa con un maggiordomo?".
"Allora che faccio?", chiese Cor tappandosi la bocca e
lo stomaco. "Aspetti un momento, ci penso io!". Il
maggiordomo andò di là e ritornò con una fiala di Plasil ®.
Fece subito una puntura a Cor, così il vomito le passò. Cor
cominciò a essere felice, perché finalmente aveva anche lei il
suo principe. Lei gli domandò come mai avesse in casa una fiala
di Plasil ®, e lui rispose che prevedeva un fatto del genere, e
che gli avevano sempre fatto schifo i maggiordomi.
"Inoltre", aggiunse "io non sono soltanto un
principe, ma un principe veterinario". "Che
bellezza!", disse Cor, rincuorata. Allora, ricordandosi dei
propri genitori, le venne un'idea. "Non è che per caso ha
anche una medicina contro il virus della caccosi bovina?".
"Certo", rispose il principe "vado a
prenderla". Andò in dispensa e tornò con un secchio pieno
fino al bordo di una medicina biancastra. I due corsero subito
dai genitori di Cor, e tutti insieme dall'alba al tramonto
praticarono alle settecento mucche un clistere della medicina
contro la caccosi bovina. In capo a qualche giorno la diarrea
scomparve, le mucche guarirono, ripresero a fare dell'ottimo
latte e furono vendute a un prezzo accettabile. Con il ricavato,
i genitori di Cor si comperarono una casetta piccolina in Canadà
e andarono a stare fuori dai coglioni. Cor e il suo principe
partirono per la luna di miele, poi ritornarono a Pappòr, dove
vissero felici e contenti nel loro castello senza il problema dei
suoceri. Ah, dimenticavo... Cor si comperò uno specchio nel
quale poté finalmente specchiarsi. Così s'accorse di non essere
brutta, di non essere bella e nemmeno passabile. Soltanto
deficiente.
FINE